giovedì 13 dicembre 2012

Recensione di "L'uomo che viaggiava con la peste" di Vincent Devannes

Titolo: L'uomo che viaggiava con la peste
Autore: Vincent Devannes
Neo edizioni - 2012 Prezzo: € 15.00
ISBN: 978-88-96176-12-2
Pagine: 192
Traduzione: Camilla Diez
 


Quarta di copertina:
1950. Un uomo senza nome fugge da un’Europa lacerata dalla guerra per un misterioso crimine commesso. Al di là dell’oceano c’è l’Argentina. Mentre la lotta anticomunista si sta organizzando in tutto il mondo, Albert Dallien – questo il nome che gli verrà dato – comincia la sua nuova vita in una Buenos Aires carnale e impenetrabile, rifugio di criminali nazisti, di traffici e servizi segreti deviati, dove l’unica cosa che conta è scegliere il ruolo da giocare e farlo nel miglior modo possibile.
L’uomo che viaggiava con la peste, partendo da una precisa ricostruzione storica, schizza il ritratto intimo di un’epoca che ha riciclato senza scrupoli la parte più buia della nostra storia. Con uno stile rigoroso e avvincente, Devannes traccia la parabola di un uomo segnato da una colpa oscura e dalla continua negazione della propria identità, quasi fosse lo specchio di un mondo che stentava a trovarne una.

Recensione:
di Franco Casale (Capitano Alatriste)

Interessanti quelli di Neo. E hanno le idee molto chiare su cosa vogliono pubblicare: cerchiamo opere viscerali, amorali, irriverenti, dissacranti, scrivono in calce sul loro sito. E questo L’uomo che viaggiava con la peste di Vincent Devannes di certo viscerale lo è.
Subito una considerazione: se il manuale del bravo scrittore ci suggerisce che l’incipit, ovvero le prime righe che introducono alla storia, deve catturare l’attenzione del lettore e trascinarlo dagli scaffali della libreria fino alla cassa, in questo romanzo tale regola è certamente disattesa.

Ma qui stiamo parlando di un testo complesso nella sua semplicità, ben fuori dai canoni della narrativa di genere e ritengo che la cassa non sia stato l’obbiettivo primario di quelli di Neo nel consegnarcelo. Loro, buon per noi, preferiscono investire in una linea editoriale coraggiosa tesa a fidelizzare un certo, e credo anche vasto, pubblico di lettori che non ne possono più di sentir parlare di sfumature varie e di vampiri innamorati. E questo è già un merito. (date un’occhiata alle loro altre proposte qui http://www.neoedizioni.it/neo/ ; ne vale proprio la pena)

Tutto comincia con lo sbarco di un tale che, pur essendo il narratore, non ci spiega chi è, da dove viene e perché. E se non fosse scritto sulla quarta di copertina, non si riuscirebbe neanche a inquadrare il periodo storico nel quale ci troviamo. È il 1950, e per capire che siamo in Argentina, per la precisione al porto di Buenos Aires, bisogna arrivare alla settima pagina. Bene. Quel tale, appena sceso dalla nave dopo aver attraversato l’oceano Atlantico, ne incontra un altro. Pare che lo stia aspettando. Dalle poche battute che si scambiano cominciamo a scoprire qualcosa: il tale è francese, ha imparato un po’ di spagnolo durante il viaggio, improvvisa un nome, Albert Dallien, e si affida all’altro tale che lo porta in un caffè dove incontrano un prete. Questi gli chiede se ha una certa lettera di presentazione quindi lo accompagna da una persona importante che diventa il garante della sua nuova vita senza fare troppe domande.

Così cominciano le vicende del presunto Albert Dallien in terra d’Argentina. E comincia anche la nostra avventura di lettori, un po’ disorientati, un po’ curiosi, alla ricerca di un filo narrativo rassicurante che ci permetta di capire che cosa ci sta a fare Albert Dallien in Argentina e perché è presunto, chi è la persona importante che gli fa da garante e da chi è stata inoltrata quella lettera di presentazione.
La storia si dipana lentamente, magari con un po’ di indolenza, lasciando qualche indizio qua e là, e ci costringe a rileggere per far collimare tempi verbali e salti temporali. Lo stile è asciutto, caratterizzato da pennellate descrittive rapide e intense, ora d’impressione, ora d’espressione. Vediamo solo quello che chi racconta ci fa vedere, tutto il resto è fuori fuoco, come fosse marginale. Ci vuole attenzione per mettere a posto i tasselli di una narrazione frammentata e funzionale allo stato d’animo del protagonista che dipinge cose, situazioni e persone con i colori di un distacco a volte irritante. Non si avverte passione in Albert Dallien. Le rare tracce di sentimento vero sono annacquate da un fosco senso di solitudine che fa intendere il fardello di una colpa non espiata. E le poche volte che cede alla tenerezza lo fa con quella equivoca accettazione che lo caratterizzerà per tutto il romanzo. Vorremmo provare a innamorarcene, ma lui ci disillude, sempre, con un disincanto che forse non gli appartiene, ma che comunque vive e ci impone, senza mezzi termini. Non è lui l’eroe, ci dice, anzi, di eroi, attorno a lui, non ce ne sono proprio.

Ma non vorrei svelare troppo le vicende narrate perché è bene che il lettore, come ho fatto io, si cali a suo modo nel mondo di Albert Dallien, immigrato clandestino, medico illecito, informatore, faccendiere e altro ancora, e viva le vicissitudini della sua nuova esistenza con le proprie aspettative emotive. La storia è importante, e racconta di puttane e papponi arricchiti, di scaltri funzionari e governi complici, di complotti internazionali, di trafficanti di ogni genere, di guerriglieri idealisti, di rifugiati nazisti riciclati e protetti da un sistema corrotto che funge da grande lavatrice. Tutti attori, noti o meno noti che siano, che recitano la loro parte in quel certo dopoguerra ricco di intrighi e miserie all'ombra della minaccia comunista.
E al centro di tutto lui, il nostro Albert, con un soprannome, il cane di Châtellerault, che è l’unico residuo di un passato occultato anche a se stesso, e quindi a noi, che rimaniamo in attesa. Finché capiamo che tale attesa è la chiave di lettura che aspettavamo.
In un gioco di ruolo che viene perseguito con cauto opportunismo, Albert Dallien ci racconta di quelle miserie, senza sconti, lungo un percorso di riscatto che affronta quasi con candore partendo dai bassifondi di Buenos Aires, defilandosi all’apparenza dal contesto di degrado sociale e morale nel quale si muove. E non ci rivela il suo mistero.

- Se incrocio uno specchio, non ho alcun ricordo di colui che ha utilizzato quella faccia prima di me. -

Chi è stato Albert Dallien prima di arrivare in Argentina? Cosa avrà mai fatto per essere costretto a espatriare clandestinamente? E perché nel suo racconto non c’è traccia di quei fatti?
Tutto su di lui rimane sospeso in attesa di una rivelazione. Gli eventi sono raccontati solo guardando avanti. Come se, attraversando l’oceano, Albert avesse varcato la soglia di una dimensione che ha sostituito la precedente e lo ha visto rinascere, come uomo nuovo, in un mondo nuovo.

- Sull’Atlantico il cambiamento d’emisfero è sorprendente. Le sere in cui ti annoi guardi il cielo, finché una notte non scorgi la Croce del Sud: l’immutabile è mutato. Ed è un cambiamento continuo, perché muta la misura stessa delle cose. -

Con una scrittura abile nel cambiare registro emotivo all’occorrenza e una rara capacità introspettiva, Vincent Devannes ci regala l’affresco di un’epoca controversa senza giudicarla, lasciando a noi, da bravo cronista, il compito di farlo.
Menzione speciale alla cura dell’edizione da parte di questa giovane e agguerrita Casa Editrice: una raffinata grafica di copertina e neanche un refuso di stampa. Il piacere di leggere un bel libro è anche questo. E non è da tutti.


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