mercoledì 29 gennaio 2014

Bollettino di navigazione, 28 gennaio, terzo anno in mare


Questa ottomana (che ieri mi son dimenticato di bollettare) puo essere anche una donna turca, come Hürrem Sultan o Karima, nata Alexandra Anastasia Lisowska e conosciuta in Europa semplicemente come Roxelana, (Rohatyn, 1500 – Costantinopoli, 18 aprile 1558).
A tal proposito, direi che sto parlando a sproposito, per cui mi farò il proposito di smettere di spropositare sproloqui sproporzionati a sproposito e sprofondarmi nello sprobollettino.

Due nuovi imbarchi in Giuramento. Facciamo gli alternativi e facciamo finta di non vederli.

Le solite chiacchiere in L'ora del tè, Libri sul comodino, Gazzetta dei concorsi e Taverna.

Ma mica è tutto qui: novità in Spazio autori come sempre, un nuovo gioco de La Piccola Volante in Allenamento, e in Editatemi appena finito l'editing di un racconto di Giuseppe.
E poi, in Area contest andate a vedere le novità di pubblicazione della raccolta presa dal concorso Diverso sarò io, che sta per essere stampata.
E, in Segnalati da voi una nuova segnalazione, insieme alla pubblicazione DA OGGI del libro di Kerikaeffe, E se poi mi innamoro, pazienza; cioè, pubblicato, uscito, si può comprare. Non è fichissimo? In questa epoca di consumismo, di avere e non essere, di affetti mancati per denaro... Che? Boh. Ma il libro merita.

E poi i tanti progetti in corso: in Scrittura Assititita sta procedendo la scrittura di un romanzo, che voi non potete vedere (Prrr!), come ci segnala il capitano in Annunci Staff.
Procede anche la Scrittura collettiva più individuale che c'è.
Sempre nuovi romanzi in valutazione, l'ultimo in valutazione completa, andate a vedere in Valutazione manoscritti la timeline dei lavori.
E vi ho già parlato delle Produzioni by PescePiratA? Beh, se ve l'ho già detto, andate a rifrescarvi la memoria su quello che abbiamo prodotto qui sulla nave (le patate le abbiamo omesse, per pietà vostra).

Detto ciò, ho detto tanto, pure troppo. Così non ci resta che alzare al cielo le pale da neve e gridare: Alla via così! 
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martedì 28 gennaio 2014

La Redazione PescePirata

Carissimi Pirati e Piratesse,
      Il Quartier Generale di PescePirata è sempre in fermento e partorisce nuove idee ad ogni piè sospinto.
Ora il nostro Vascello si prepara per un nuovo arrembaggio: La Redazione di PescePirata.
Saranno messi a disposizione gratuitamente libri, con l'impegno di scrivere una recensione di qualità, ben scritta ed esauriente.
Se volete far parte dei Lettori Accreditati, compilate il modulo allegato e inviatelo a segreteria@pescepirata.it
Appena i titoli saranno disponibili, verranno pubblicati sul forum completi di scheda, dopodiché potrete scegliere il titolo che desiderate e segnalarlo sempre all'indirizzo segreteria@pescepirata.it .

Nella pagina dedicata sul forum troverete il modulo di adesione e una guida su come impostare la recensione quando la pubblicherete sul forum. Ricordo che poi l'opinione verrà divulgata sulle librerie (Anobii e Goodreads) e qui sul blog.

All'arrembaggio e buona lettura!
AHR!




giovedì 23 gennaio 2014

Racconto del mese: dicembre



La strega

di "wyjkz31" Rossana Zago

 

Catene e buio sono tutto il mondo. Non sento più il lezzo nauseante che mi ha aggredita all’arrivo; ho perso il conto dei giorni trascorsi qui dentro e sono diventata quell’odore disgustoso di sangue, paura e sudore.
Amo le catene che mi impediscono di toccare quello che resta del mio corpo.
La morte. La sento vicina, a volte, e poi, invece, mi risveglio ancora qui. Non può essere peggiore, l’inferno.
Era autunno, tempo di raccogliere funghi e fare scorta di legna per l’inverno. Avrei avuto bisogno dell’aiuto di un uomo, ma un uomo mi aveva avuta, bambina, e avevo promesso a me stessa che nessuno sarebbe più entrato nel mio letto.
Non era una gran vita, la mia, e c’erano cose che mi mancavano; non una casa in muratura o cibo a sufficienza tutti i giorni, o meglio, sì, ma essere libera compensava ogni disagio. In realtà mi mancava una cosa sola: l’amore. E quel giorno d’autunno lo cercavo tra funghi e rami secchi, dove sapevo di non correre il pericolo di trovarlo.
«Ciao» la voce proveniva dalla caverna grande. Non avevo mai creduto che ci abitassero gli spiriti, ma sobbalzai ugualmente.
Un uomo mi stava fissando; arretrai d’istinto.
«Non avere paura» venne verso di me e indietreggiai, consapevolmente . «Non voglio farti del male, non scappare.»
Sorrideva, una chiostra di denti candidi faceva capolino fra labbra rosee come quelle di un bambino, le fossette sulle guance gli davano un’aria inoffensiva.
Mi fermai e impugnai con forza il ramo che avevo appena raccolto. «Parli strano, da dove vieni?» chiesi.
«Hai ragione, sono uno straniero.»
Strinsi con più forza il ramo, pronta a scappare fra gli alberi se solo avesse fatto un altro passo avanti. Lui mi fissava sorridendo.
«Perché lo fai?» chiesi.
«Faccio cosa?»
«Mi guardi e non dici niente. Si può sapere cosa vuoi da me?»
«Che ne pensi se ti aiuto a raccogliere la legna? Vanno bene i rami come questo?»
«Tu non hai mai raccolto la legna, vero?»
«Vero» ammise. «Però sono forte abbastanza per aiutarti a trasportarla. Che ne pensi?»
Mi seguì, carico di legna, per il bosco. Scivolava, cadeva, perdeva rami durante il cammino, sudava e ansimava. Era buffo, faceva tenerezza ma non mi fidavo di lui.
«Ho finito.» Mi avvicinai per prendere la fascina di legna, ma l’uomo sorrise e scosse la testa. «Ti accompagno fino a casa, credo che mi spetti una ricompensa per l’aiuto che ti ho dato.»
Il cuore accelerò i battiti e un velo di sudore mi imperlò la schiena nonostante l’aria frizzante della sera. Non risposi. Scappai. Veloce più che potevo, fra i cespugli spinosi del sottobosco, saltando radici e schivando i rami bassi degli abeti, attenta a non condurlo nei pressi del mio rifugio. Sentivo i passi che mi seguivano, impacciati, sì, ma veloci abbastanza da non lasciarsi distanziare. Ansimavo per lo sforzo e la paura, le gambe doloranti volevano solo fermarsi, ma proseguivo. E lui dietro. Nessuna parola, nessun richiamo. La sua presenza alle spalle, rumorosa come un cinghiale infuriato e altrettanto terrorizzante.
Inciampai, ruzzolai lungo una bassa scarpata e mi fermai a pochi metri da un dirupo.
L’uomo non rallentò e non esitò. Si lasciò cadere e rotolare lungo il pendio, con fidando nella fortuna. Paralizzata dalla paura, vidi il suo corpo avvicinarsi e, senza più controllo, superarmi.
«Aiuto! Aiutami!» urlava l’uomo, le mani aggrappate a una roccia e il corpo dondolante nel vuoto, senza la forza per issarsi in salvo.
Lo guardai. Lo guardai cadere. Lo guardai scomparire nella nebbia d’acqua che risaliva dalle cascate sottostanti.
Nel buio di questa cella lo vedo ancora precipitare e chiamare il mio nome. Come lo sapeva? La domanda mi tormentava assieme al rimorso. Ero un’assassina. Avevo commesso un peccato mortale che avrebbe dannato la mia anima. Quella notte sognai il fuoco e le fiamme dell’inferno.
Non lo sapevo ancora, ma il Signore, o il Demonio, mi aveva offerto una visione di ciò che mi aspettava; un patimento in espiazione del mio peccato o il prologo dei tormenti per la mia anima dannata?
Sono sola, in questa cella, disperatamente . Una strega che non vuole confessare, meritevole delle peggiori torture, dicono, e a volte ci credo. Credo di avere danzato con Satana sotto la luna piena e di aver portato in grembo l’anticristo.
Quando le ferite smettono di sanguinare e il dolore pulsa sordo, costante e quasi sopportabile, allora mi aggrappo ai ricordi, per non smarrire la ragione, per provare a resistere.
Potevo evitare di avvicinarmi alla caverna grande, ma non comandavo alla mente con la stessa facilità con cui comandavo al corpo. Vedevo sempre davanti agli occhi il suo viso sorridente e sentivo nelle orecchie l’urlo che aveva fatto cadendo. Quando me lo ritrovai davanti, lo scambiai per un fantasma.
Scappai e lui dietro, in una replica della fuga di pochi giorni prima, fra sentieri fangosi, sotto una pioggia insistente e gelata. Scivolai, cadendo in avanti tra le foglie marce, lui mi raggiunse e, fra tutte le cose che poteva fare, fece la più incredibile. Si mise a ridere. Una risata aperta, che si allargò nell’aria, sovrastando i fruscii del bosco.
«Dai che ti aiuto; sempre che tu non abbia paura che ti trascini con me nell’aldilà.»
Non avevo intenzione di rischiare e mi rimisi in piedi da sola. «Sei vivo?»
Si toccò il petto con le mani e si diede due schiaffetti in faccia. «Direi proprio di sì. Ho avuto fortuna, l’altro giorno.»
«Quando sei caduto… hai urlato il mio nome. Come facevi a saperlo?»
«Ho sentito parlare di te, giù in paese.»
Non chiesi altro. Immaginavo cosa potevano dire di me i bigotti, che ritenevano salvifici malattie e dolori e peccatore chi tentava di alleviarli, salvo poi acquistare di nascosto le mie pomate e le mie tisane.
Dopo quel giorno lo incontrai ancora, e ancora, e ancora.
Arrivano. Sento i passi e il tintinnio delle chiavi. Sono convinta che facciano più rumore del necessario solo per spaventarmi. L’attesa, le domande, la fila di strumenti di tortura che mi aspettano sono altrettanto atroci del dolore fisico. Prego il Dio in cui nonostante tutto credo. Lo prego di aiutarmi. Davvero non so quale aiuto desidero; riuscire a resistere ancora, morire, smarrire del tutto la ragione. Non so cosa voglio. Mi rimetto alla Sua volontà, ma non trovo conforto.

È finita.
Domani brucerà il mio corpo e la mia anima, nuda, raggiungerà l’inferno per bruciare per l’eternità. Così hanno detto.
Non ho ammesso i miei peccati e brucerò viva. Non mi sarà concessa una morte pietosa prima che venga appiccato il fuoco. È quello che volevo, ma ora ho paura che sia solo un sogno, un’illusione o, peggio, un tranello del maligno.
Raggiungere il luogo in cui mi rifugio per sfuggire al presente è difficile, quando anche respirare mi procura dolore.
Sentivo che in Robin c’era qualcosa di anomalo. Non solo i denti, bianchi e perfetti come non ne avevo mai visti, ma tutto il suo aspetto faceva pensare a una persona molto giovane, invece era un vecchio. Trentaquattro anni. Quando mi disse l’età risi. «Mi prendi in giro. Ho la metà dei tuoi anni e sembriamo fratelli, non è possibile.»
«Da dove vengo io la gente resta giovane a lungo.»
Vedo ancora i suoi occhi, lucenti, che mi fissano e io che mi specchio nelle sue pupille grandi e capisco, senza possibilità di errore, che mi ama.
Il mio primo, unico amore. Il primo e unico uomo che ho baciato.
Il desiderio di sfiorare, anche solo per un momento, le sue labbra è tanto intenso da farmi scambiare il refolo gelido che si insinua nella cella per l’alito caldo di Robin. Socchiudo le labbra screpolate e attendo, invano.
Robin era uno straniero, per il modo di fare, di pensare, per i discorsi che faceva. Ci incontravamo nella caverna grande, la sua casa. Una casa piena di oggetti che non avevo mai visto, magici e spaventosi. Mai ho pensato che potessero essere emanazioni del maligno.
C’era in lui tanto amore per me che avevo l’impressione di amarlo solo perché lui mi amava. Nessun demonio poteva essere capace di amare tanto intensamente .
Entrai nel suo letto. Superai il ribrezzo, la paura, i ricordi e lo amai. Nascosi il ventre gonfio fin quando fu possibile e in seguito uscii di casa solo di nascosto. Giunto il momento, andai da Robin.
Non provai dolore. Per i giudici la prova che avevo dato alla luce il figlio del demonio.
Non lo so, se sia vero. So che i formicolii al ventre erano piacevoli e, dopo una breve pressione, mio figlio scivolò fuori, nel tepore della caverna, senza un lamento.
L’ho attaccato al seno una sola volta, prima che ci trovassero.
«Non posso portarti con me, non adesso. Ti amo. Fidati, ti prego» le ultime parole di Robin. Si allontanò e scomparve con il nostro bambino, come se non fossero mai esistiti.
Il dolore cui sono sfuggita mi è stato restituito, perché una figlia di Eva non può sottrarsi alla condanna divina. Hanno ragione, lo so.
Vorrei fare il bagno. Desidero immergermi nell’acqua tiepida e lavare dal mio corpo il ricordo della prigione. È un’abitudine che mi ha insegnato Robin ed è male, so anche questo.
Non mi salverà dal fuoco, come ha promesso, non mi porterà in un mondo migliore, non guarirà le mie ferite e non vivremo felici per il resto della nostra vita: l’approssimarsi della morte mi ha tolto l’ultima illusione. Domani implorerò il perdono per i miei peccati.

Ho sognato il mio bambino. Muoveva i primi passi appoggiandosi al muro; volevo chiamarlo, ma non potevo perché non conoscevo il suo nome.
Per colpa mia è nato dannato senza speranza di redenzione.
«Strega» il frate usa il crocefisso come uno scudo. «Pentiti!» La voce risuona potente nel silenzio della piazza. Centinaia di persone mi fissano, gli occhi pesti non mi consentono di vederle, ma sento i loro sguardi pungere sulla pelle.
Vogliono lo spettacolo completo e non li deluderò.
Scuoto la testa, andrò all’inferno se è l’unico modo per rivedere mio figlio. In silenzio chiedo perdono a Dio per averlo rifiutato.
Tossisco per il fumo e sento il crepitio della legna in fiamme. Sono dolore, oltre ogni immaginazione, e odore di carne bruciata.
Fra le urla che non riconosco come mie, sento la voce di Robin che mi chiama.

 

lunedì 20 gennaio 2014

Bollettino di navigazione, 20 gennaio, terzo anno in mare


Questo bollettino farò una cosa originale: non scriverò cazzate.

Anche perchè questa settiamana cazzate di cose ce ne sono talmente tante che ce bastano quelle. E allora come organizzarmi? Farò come mi viene più consono: a casazza.

In Giuramento quattro musicanti di Brema cazzate saliti a bordo. Andate a fargli i vostri versi più paurosi tutti arrampicati uno sulla schiena dell'altro.

Chiacchiere ne L'ora del tè e discussioni in Area didattica, cazzate dove ritornano gli spunti di Yukie con la puntata 22. (Yo-ho-ho!)

Una nuova cazzate recensione in Libri sul comodino, una in versione baby in PescePiratA Kids e le prime due letture cazzate di romanzi in uscita ne La redazione di PescePiratA, la nuova sezione del vascello! Andate a sbirciare, curiosoni!

In Allenamento ci propongono un blog cazzate di spunti per esercizi di scrittura, in Mondo web Freewolf ci segnala la ripartenza del blog di Fralerighe mentre in cazzate Gazzetta dei concorsi ci sono un paio di nuovi concorsi.

In Spazio autori, dopo la nomina del miglior racconto di dicembre, non ci crederete ma ben otto racconti per cazzate gennaio questa settimana; più una proposta indecente (vi dico solo "racconto dell'anno?")

In lavorazione poi un racconto in Editatemi, dal decollo un po' difficoltoso ma che ormai è partito cazzate: andate a dare la vostra versione.

E chiudiamo con la Scrittura collettiva, dove vi proponiamo cazzate la scrittura di un romanzo a più mani. Ci sarà del gran lavoro, ognuno potrà dare il suo contributo di idee, grande o piccolo, cominciamo col buttare giù la storia e vedremo dove si arriverà. (puntiamo molto in alto, lo sapete...)

Non ci resta quindi cazzate che alzare le nostre sciabole (per chi ce l'ha pieno il boccale, ma si sa che il grog scarseggia sempre) e gridare: Cazzate! Ah no: Alla via così!
 
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lunedì 13 gennaio 2014

Bollettino di navigazione, 13 gennaio, terzo anno in mare


Buonasera. Questo sito è stato posto sotto sequestro giudiziario da parte della Polizia postale (cioè tante sorelle della mamma che possono stare lì dove sono (questa il primo che la capisce gli mando un gadget)) perchè il nostro sistema informatico TEVEDO (Trasformatore e Elaboratore Virtuale di Evidenze Dolose Oggettive) ha rilevato continui comportamenti pirateschi perpetrati da parte dei suoi utenti.
Tali attività comprendono, tra le altre:
- continui assalti alle pagine di libri e racconti per il puro piacere della lettura, senza alcuna necessità di sopravvivenza (che che ne dicano alcuni dei frequentatori del sito);
- incessanti attività di sciabola con la penna, vergando chilomentri di testi che finiscono per intasare la proprietà pubblica e rendere difficile la circolazione a chi non voglia o non possa leggerli tutti;
- spudorate e continue critiche ai testi altrui, sfocianti in impudiche correzioni e pretesi miglioramenti, senza alcuna richiesta da parte del Nobile Autore Originale (questa ultima affermazione da verificare).
L'attività del sito sarà quindi sospeso fino a data da stabilirsi... Ehi, che è 'sta roba? Il nostro sito è sotto attacco! Una nave pirata sta riversando tonnellate di bucce di patata nei nostri canali di comunicazione Internet! Aiut... stiam... annegand... Sput sput... (eh eh eh!)

Questa settimana l'attività sta riprendendo dopo la pausa natalizia, in attesa di novità ufficiali (per esempio tra poco ci sarà l'assembea dei soci dell'ASSOCIAZIONE CULTURALE PESCEPIRATA, state all'occiho), con la solita routine piratesca.

Un nuovo imbarco (poraccio), in Giuramento potete andare a salutarlo con ricchi premi e cotillons.

Chiacchiere qua e là, tanto per far seccare la gola così da poter elemosinare il grog dal capitano (che tanto non sgancia mai) in L'ora del tè, Libri sul comodino, Gazzetta dei concorsi, Taverna e Parafrasi metaforiche coagulanti.

In Allenamento un nuovo gioco della nostra nave cugina LaPiccolaVolante.

In Spazio autori come sempre una mucchia (4) di racconti, oltre alla votazione per il migliore racconto di dicembre.

Dulcis in fundo, a destra per il bagno, una marchettona che è invece un consiglio d'oro, in Segnalati da voi: tra quindici giorni esce il romanzo della nostra kerikaeffe. Tenetelo d'occhio, preordinatelo, fate pressing, fate il tifo, perchè a chi lo comprerà, una foto nuda dell'autrice della nostra mascotte di bordo, il calamaro gigante Ettore, l'unico clamaro col costumino!

Beh che dire, sulla nave il vociare sguaiato di pirati ubriachi di lettura echeggia in ogni angolo, fogli vergati con sciabola e penna ricoprono tutto, insomma c'è quel bel casino che indica che siamo sani e vitali. Con tutta le verdura che mangiamo... E allora non ci resta che il solito augurio: Alla via così!

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venerdì 10 gennaio 2014

Racconto del mese: novembre



Regali a Ferragosto

di "MasMas" Marco Viggi

 

Esco dal mare. “Swosh!”: l’acqua sulla pelle evapora in una nuvoletta bianca. Faccio due passi e la sabbia comincia a temprarmi la pianta dei piedi. “Ahi!” grido al sole. Corro alla passerella. Il cemento è al punto di fusione del titanio. Zompo fino all’ombrellone e salto nella sua ombra.
In mezzo a questa umanità varia, che in fondo è il bello dello stare in vacanza, il mio piccolo angolo privato: i vestiti appesi, le ciabatte, il telo. E la borsa con i regali. Tiro fuori i pacchi incartati: piccoli come un pugno, ma sono tanti. Mi guardo intorno: la gente non mi bada, nessuno che mi faccia gli auguri. Pazienza. Oggi è il mio giorno speciale: tanti auguri a me e mi siedo sul lettino.

La nonna dell’ombrellone a destra è seduta, con la rivista in mano, come quando arrivo la mattina, come quando vado via la sera.
Nemmeno lei è incuriosita dai pacchi. Ne allungo uno verso di lei e tento: “Scusi Wanda, ha visto questo?”
“Eh giovinotto?”
“Dico, questo pacchetto qui, che tengo in mano.”
“Certo giovinotto, ha ragione.” e sorride. Come tutte le mattine, come tutte le sere. È sempre lì. Forse le si è incollato il culo alla tela del lettino, col caldo. Beh, non sarò io a controllare.
Mi allungo verso di lei sfidando il calore da Vesuvio e lo deposito sotto il suo lettino.
Ripete: “Certo giovinotto.”
Quest’inverno voglio venire a fare un salto per vedere se c’è ancora. Le illustrerò la teoria della relatività, per vedere se risponde: “Certo giovinotto.” Se avremo un altro inverno, io e lei.

A sinistra confino con Irene, detta da me Jesseca, con il suo bikini che copre il meno possibile del corpo ambrato steso sul lettino come una pelle di caimano. Ha gli occhi chiusi, come sempre quando arrivo, come sempre quando vado. Anche lei accessorio fisso della spiaggia.
Accanto al lettino il libro. Non gliel’ho mai visto leggere, e spero non lo faccia mai. Manco fosse le barzellette di Totti. Manco fosse 50 sfumature. Manco fosse gli amori adolescenziali di Moccia. No, molto peggio... Non riesco nemmeno a pensarlo il titolo.
Tento di chiedere anche a lei? No. Quando le parlo mi guarda con gli occhi che dicono: “Potresti essere mio padre.” In effetti anche tuo nonno. Anche il tuo australopiteco.
Mi allungo piano anche da lei e deposito un pacchetto sotto il lettino. “Uh, uh!” anche a te Jesseca.

Eccolo. Adesso chiedo a lui. Si avvicina Telefunken: nome d’arte per cuccare le tedesche, all’anagrafe Lorenzo Belli, il bagnino. Si avvicina con il passo a metà tra Fonzie e Bay Watch, almeno dice lui. A me ricorda più Bambi sul ghiaccio. Però ci crede anche Irene, a quanto pare. Lui arriva al di lei lettino e sorride: Jesseca si scioglie come gelato nel forno. Uno sguardo complice e tirano fuori il cellulare per scambiarsi qualche messaggio pieno di ke e nn. Poi passa da me. Vorrei porre a lui i miei xké ma lascio stare.
Mi allungo sulla sabbia che scotta come quella su Venere d’estate e lascio cadere un pacchetto nel retino che tiene in spalla.

“Cosafaicosafaicosafai?”
Giannino, il figlio di... qualcuno di sicuro, di chi non si sa. Non sono mai riuscito a chiederglielo, perché...
“Deipacchettibellisonotuoipossoprenderne...”
“No, non puoi pr...”
“Daidaidaifammeneaprireunoduequattrodiecièiltuocompleannobelloilmioinvece...”
“No, non te li faccio aprire e...”
“Daidaidaisolounomacosac’èdentrodaifammivederedimmelo...”
“Guarda,” prendo quello che mi ero portato nel caso qualcuno avesse tentato di curiosare e lo apro. Dentro c’è la biografia di Tolstoj. “Sono libri, tutti. Libri. Come a scuola. Ma visto che ci tieni, prendine uno. Ecco, questo qui.”
La parola magica libro sortisce l’effetto: “Ah... Grazie, ciao.” Lo afferra con due dita tenendolo lontano come fosse cacca di scarafaggio puzzone e fugge via.

Un rumore dietro: “Ciao capo. Comprare braccialetto cuoricino. Sì?” Mi giro e mi appare un nero con una maglietta dei Miami Dolphins, diciotto cappelli da Indiana Jones in testa, tre scope in spalla, teli da mare sotto braccio e un pannello di cartone con infilati duemila braccialetti rosa a cuoricini, occhiali da sole, orologi, collane, pastiglie per i freni, l’uomo del tonno Insuperabile, una pistola laser e la mela di Biancaneve.
Mi salta il cuore nel petto e trattengo un grido: l’ubervucumprà.
“No grazie, non ho soldi.” Mento.
Lui stringe gli occhi e si vede che pensa: “bersaglio non pagante”. Per un secondo lo sguardo gli passa da allegro ad arcigno poi un gridolino di Irene gli stampa il sorriso sulla faccia e se ne va da lei. Ma gli africani hanno più denti di noi? Boh, intanto mentre si gira gli deposito un pacco dentro una delle mille borse, semiaperta.

Ta tattatta tattatta tattatta ta. La corazzata Potemkin. La suoneria del mio cellulare che ho messo quando chiama mammamogliesorella: per me sono tutte uguali, tutte la stessa persona.
Mi tocca di rispondere: “Ciao.” Non c’è bisogno di dire altro. Poggio il telefono. Mentre una voce ronza dall’apparecchio, mi guardo intorno. Sole, mare, solitudine, una vacanza per recuperare dallo stress di una vita. Non potrei desiderare di più.
Mah. Che faccio adesso di bello? Prendo un altro pacco. Questo ha la carta d’argento, con tante righine blu e verdi che si incrociano, in diagonale. E un fiocco fatto con nastro rosso, con tanti riccioli cadenti. Al mio amico son venuti bene. Con quel che mi son costati. Ma non importa, tanto dopo oggi non sarà più un problema, il denaro. E questo a chi lo do?
Ops, dimenticavo il telefono. Lo riprendo e attendo un silenzio. A lungo. Tocca a me: “Certo. Come dici tu. Adesso metto giù che sono a secco con la batteria, scusa. Baci.”
Tasto rosso.

“Ué, cara, finalmente al mare!”
Sulla passerella c’è il cummenda. Aspira alla briatorietà: capello brizzolato, occhiale, pelle cadente ma lampadata al limite del pollo arrosto. Slip bianco che delinea ben bene ciò con cui ragiona.
È con la moglie di questo agosto. La tiene tipo baguette sotto braccio, tanto è secca come un cardo, per il botulino. Pesa trenta chili causa anoressia d’ordinanza. Le tette di gomma sono così gonfie che se non la tenesse lui volerebbe via.
Son fermi sulla passerella, a finire la sigaretta. Lui aspira l’ultima boccata poi la afferra con due dita e la lancia. Il mozzicone finisce proprio tra i miei piedi.
Sbuffo come un toro di fronte a un sipario di un teatro. Mi lancio alla carica a testa bassa e incorno il cummenda al basso ventre.
Nella mia fantasia.
Nella realtà loro mi passano davanti mentre io respiro forte e sbollisco. Mi sento un Ghandi. Mi sento un Buddha. Mi sento un codardo.
Però, mi allungo e aggancio un pacchetto all’alluce della mummia, ops... moglie.

Ritorna Telefunken, ha in mano il retino, sta pulendo la spiaggia. Miracolo! In genere lo fa quando Urano è in trigono con il suo culo. Ma deve anche passare la cometa di Halley. Arriva da me e ignora la siga del cummenda, a imperitura memoria della mia coglionaggine.
“Ciao...” tento, ma non mi sente. Lo sguardo da San Bernardo è puntato sulla bionda col bikini più piccolo del mondo che si bagna i piedi in mare. Sorrido. So già l’effetto che farà il suo “Me ghiama-re Coccolino, io ti amo.”
Chissà dov’è finito il pacchetto che gli avevo messo nel retino. Me ne preoccupo? Ma no, va. Oggi mi sento fortunato, e generoso: gliene deposito un altro.

“Coccobbellococco!”
Eccolo qua il venditore più tipico della riviera romagnola. Manco fossimo in Congo. Manco lui fosse congolese. Non sapevo che Napoli fosse luogo di coltivazione della palma da cocco: o’ cocc’e Posillipo D.O.C.G.
Il tizio col carretto e il secchio dell’acqua mi guarda con gli occhi stretti. Deve aver notato il mio sguardo che dice: “Se siamo in Romagna perché non mi vendi un bicchiere di sangiovese? Una piada? Anche i tortelli caldi andrebbero meglio.”
Ripenso al mio coraggio col cummenda e abbasso lo sguardo su un pacchetto. Scavo un buco, prima col piede, poi con la mano. Tanti auguri, questo lo lascio qui.

“Coccobbellococco!”
Il tizio non molla. Continua a girarmi intorno e a fissarmi.
Alzo lo sguardo e sorrido. Lui sorride meno, per usare un eufemismo.
Gonfia il petto e mi punta: “Capo, che avite? Vulesse nu cocc o andate a cerca’ nu uaie?”
Ok, l’ho fatto incazzare. È colpa mia, sempre a criticare. Dai, mi farò perdonare: “Sì buon uomo, grazie.”
“So tre euro.” A faccia ro c...occo! Poggia il carretto, il secchio con l’acqua e ci toccia i piedi.
Sorrido: “Credevo che servisse per bagnare il cocco.”
“Certo.” Dice lui tocciando il mio pezzo di cocco nell’acqua.
Sorrido meno. Si struscia il naso col risucchio e passa il cocco in quella mano per porgermelo. Sorride di più. Io ancora meno.
Guardo oltre la sua spalla: “È la finanza che ha la divisa grigia vero?”
Si gira. Io butto il pacchetto nel secchio.
“Porc’a maronn!” Grida, e in un attimo non v’è più.
Tre euro risparmiati. Torno a sdraiarmi.

Sento un rumore di plastica che sfrega. Poi puzzo di gomma vulcanizzata, visto il sole. Sulla passerella mi sgomma davanti un canotto a forma d’uomo. No aspetta, è un uomo gonfio come un canotto.
Accosta davanti a me. Sta sudando ormoni della crescita come un camion col radiatore bucato. Sorride, ha i muscoloni anche nella mascella. Lo immagino a sollevare mini bilancieri con le labbra.
Punta Irene: sento l’odore degli estrogeni che lei sprizza mentre lui la guarda.
Lui scosta il ciuffo biondo dalla fronte. Lei si morde il labbro. Lui tende un bicipite. Lei ovula.
Un rituale di accoppiamento in diretta, manco Quark. Forse, tra poco lui comincerà a danzare agitando i gomiti e saltellando con gli occhi fuori dalle orbite: “Hu aha! Guru guru.”
Tutta quella carne esercita una lieve attrazione gravitazionale, la sento.
Provo: salto come un popcorn in padella sulla sabbia, gli appoggio un pacchetto alla schiena e rimbalzo indietro. Il pacchetto rimane lì, attaccato. Misteri della gravitazione universale.

Ho sete.
Mi alzo, prendo un pacchetto e vado al bar gestito dalla Carmen. Una ragazòna ruscpante figlia di quescta terra di Romagna, con tutti i suoi chili di troppo al posto giusto: laterali, retro basso e fronte alto.
“Mo buona sera, mo cosa la vuole il nostro bel clientino qui!”
“Buona sera, mi da un’aranciata?”
“Mo come no! Ecco qua. Mo vuole la canutza?”
“No grazie. Quant’è?”
“Mo non la vorà mica andare via subito.” Beh, io veramente pensavo di sì. “Mo lo vuole asagiare un goccio di lambruschino? È tutto genuino qui in Romagna.” e ammicca al suo davanzale.
“Un po’ di formagino, questo qua mo vien dale nosctre coline, roba buona! Se no, mo prenda almeno una sardina fritta, ecco, ne ho un bidone qui. Oppure le cuocio una salciccia? Due capeletti? Lascagne?”
“Signora! Mi dica quant’è.”
“Mo va bene. Scono otto euro.”
Tutto eccezionale qui in Romagna. Pago. Non mi fa lo scontrino e mollo un pacchetto dentro il cestino davanti al banco.

“Hubert wurstel helmutt beker!” ok il mio tedesco non esiste, ma più o meno è quel che sento. Mi giro. Arrivano tre spilungoni bianchi chiazzati di rosso, capelli biondi a spazzola, bragoni da bagno adatti a Giuliano Ferrara.
Hanno in mano lattine di birra e uno ha sulle spalle la fabbrica della Tuborg. No, è solo una borsa piena di lattine, ma a loro piacerebbe molto.
Ridono già ubriachi: “Wolkswagen wilander merkel!” mentre si lanciano una palla da calcio, che sfreccia tra le teste e gli ombrelloni.
Gli altri villeggianti prendono contromisure: chi erge barricate di lettini, chi scava trincee con paletta e secchiello, i più anziani si organizzano in corpi militari ed ergono una linea gotica intitolata a Badoglio.
Io mi barrico dietro il lettino con un secchiello in testa.
I tre si avvicinano. Li appello: “Ehi, karthofen!”
“Bitte?” si fermano.
Gli porgo un pacco: “Wunderbar wermacht!”
Quelli mi guardano, poi uno prende il pacco e sorride: “Krazi!”
Attendo siano a fare vittime sul bagnasciuga e smilitarizzo.

“France’!” sento dietro.
Bene, è ora di andare. Il sole è ancora alto, sono solo le cinque ma è ora di andare: arrivano i Santoro.
“France’!” Mamma Maria Rosaria è la base ritmica, si ripete costante come un metronomo.
Poi c’è papà Gaetano, e i figli Francesco, Maria Assunta, Maria Addolorata, Maria Annunziata e Saverio. E la zia Mari’, che temo si chiami Maria Maria, con i figli Karim e Jason.
Sotto un unico ombrellone, con due lettini, per stare comodi perché in vacanza non badano a spese.
“France’!” e cominciano gli altri strumenti.
Te-te-tette-tette! Attacca il cellulare della zia.
Tingu-tingu: il gioco sul tablet di Mariaqualcosa.
“Tevogliooobbeeeneee!” La radiolina di papà.
Tunzi-tunzi-tunzi: il telefono di Mariaqualcunaltra suona la hit dell’estate in loop continuo.
La zia risponde. “Sì mari’! Nun me di’! No mari’! Nun so sta... Sì, no, nun lo so! Sta così: sì mari’.” Anche musicale no? No.
Con l’aggiunta di assoli di grida di qualcuno dei più piccoli, di litigi, di rumore di partite a racchettoni o calcio, sbattere, tirare e mollare, il concerto raggiunge l’apice, al volume dei Metallica:
“France’!” Te-te-tette-tette
“France’!” Te-te-tette-tette Tingu-tingu
“France’!” Te-te-tettetette Tingu-tingu “Tevogliooobbeeeneee!”
“France’!” Tingu-tingu “Tevogliooobbeeeneee!” Tunzi-tunzi-tunzi “Sì mari’! Nun me di’!”
“France’!” Tingu-tingu Tunzi-tunzi-tunzi “No mari’! Nun so sta...”
“France’!” Tingu-tingu “Tevogliooobbeeeneee!” Tunzi-tunzi-tunzi “Sì, no, nun lo so! Sta così: sì Mari’.”
“France’!” Tingu-tingu “Tevogliooobbeeeneee!”
“France’!” Tingu-tingu Tunzi-tunzi-tunzi
“France’!” “Tevogliooobbeeeneee!”
Bene, posso resistere ancora pochi minuti prima che i timpani implodano verso l’interno spappolandomi la materia grigia. Per una famiglia grande, ci vuole un regalo grande. Prendo una manciata di pacchi e salto sulla passerella. Raggiungo il vortice di confusione e rumore sotto il loro ombrellone e getto nell’occhio del ciclone i regali, che si perdono tra le spire del tornado. Torno sul lettino con i piedi ustionati ma felice.
Raccolgo le mie cose mentre i Santoro si spargono ovunque, facendo fuggire alcuni, contagiando altri: i bambini fanno amicizia e distribuiscono i miei regali per la spiaggia.

Me ne vado. Faccio la passerella, esco dallo stabilimento, procedo sul lungomare verso il mio albergo. Saluto gente: sono di buon umore, perché finalmente è giunto il mio giorno. Non mi preoccupo mentre mi guardano tirare fuori il telecomando, mentre mi giro verso il mare e schiaccio il pulsante.
Adesso si voltano tutti. Una raffica ravvicinata di esplosioni coprono la sinfonia dei Santoro, le parole di Telefunken, il coccobbello, la Wanda e la Jesseca. Lampi di fuoco colorano di rosso il cielo sopra la spiaggia. Un vento trasporta l’odore di bruciato sopra le nostre teste e oltre, mentre colonne di fumo cominciano a salire.
E poi grida, fuoco, panico, fiamme, gente che chiama o corre alla spiaggia. Io vado dall’altra parte, sorrido, rilassato. Questa è la mia giornata, tanti auguri a me.


martedì 7 gennaio 2014

Bollettino di navigazione, 7 gennaio, terzo anno in mare



Questa settimana, prometto che ricomincio a fare bollettini seri e compiti come da mia abitudine. Te lo prometto, Bianconiglio.

Un nuovo imbarco si aggiunge a questa manica di manigoldi sciacquagole da quattro dobloni. Festeggiamola come si conviene in Giuramento.

Del resto, non è successo un tubo. No davvero, sai niente di niente? Il fatto è che dopo le feste e tutti i bagordi ci voleva una settimana di purificazione. Così Supergum si è trasformato in venerabile lama Rimpoche Supergum IXX (?!?) e ci ha imposto un settimana di meditazione e digiuno; solo liquidi. Per cui l'unico rumore che si è sentito in questi giorni sono gli "Ommm" dei penitenti (e i rutti di chi ha interpetato i solo liquidi in maniera alternativa).

Insomma: poche chiacchiere in Taverna, una proposta di esercizio descrittivo in Allenamento e due nuovi racconti in Spazio autori, dove per altro è aperta la votazione per il miglior racconto del mese di dicembre.

Vi par poco? Beh, non è molto, però questo mese, almeno, tra tempo che passa, anno nuovo e ferite che guariscono voglio riprendere una buona abitudine. Tutti insieme allora: Alla via così! 
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