mercoledì 26 ottobre 2016

Recensione de La vita va avanti di Vito Ferro, Autori Riuniti



La vita va avanti. Sì. Ma come? Il protagonista Armando Pittella aspirante scrittore, castano, occhi tristi, capelli corti, forse ha un cane. È solo e disorientato. Cosa gli è successo? Dove si trova? Cerca delle voci come ricordi. Il muro davanti ha uno spiraglio. L’umidità è una mano che lo riporta laggiù da dove tutto è cominciato. Alla sua vita. Sì perché Armando è morto. Si risveglia in una sorta di vita non vita nel cimitero dove è sepolto. È una strana sensazione che il lettore percepisce come una condizione a cui appellarsi quando il dolore per la perdita dei nostri cari è struggente. La nostalgia è una costruzione insolita, passa per il protagonista che fluttua con la vita sotto i piedi. Oppure era dietro le spalle? O in mezzo a qualcosa che non riusciamo a definire subito?
La luce tremolante del televisore del custode del cimitero rende la sensazione del trapasso e di una condizione vacillante. Come la stessa vita o la stessa morte che qui è presentata come l’ultima appendice di una vita. Armando non è solo. Ad abitare il cimitero altri che come lui si sono svegliati nel giardino. Non possono uscire da quelle quattro mura, aspettano un parente, aspettano di vedere voci e volti noti per poter ricordare ancora un pezzetto di vita che sembra svanire attimo dopo attimo. Ma chi erano? Cosa rappresentano per il lettore e per Armando?

La vita è una tale distrazione che non si lascia neanche prender coscienza di ciò da cui ti distrae.” (F. Kafka)

Filippo è morto giovane. Alessio morto affogato, è uscito dalla tomba ma non riesce a parlare. È il pensiero muto. Armando non ricorda niente. L’anima diventa una propaggine inquieta. È una trasposizione. La compagnia tra i morti non è salvezza, ma sofferenza. Non mangiano, non dormono, non sognano. I personaggi sono i diversi alter ego di Armando. Saverio soffre, non esce dalla tomba. La sofferenza che Armando chiude e trattiene in se stesso. Le mancanze un elenco inutile a rileggerlo che prende senso dopo la vita, quella a colori. Chiara la donna di Armando. L’attesa. La felicità è un “ricordo” dolce, pensa Armando.

Non sanno quando sarà come sarà dove andranno, solo questo li accomuna ai vivi, ancora”.

La loro condizione non sarà per sempre. Svaniranno prima o poi e si dilegueranno solo dopo cosa? Ecco che qui il libro sa trasportare fino in fondo alla morte. O alla vita dove il destino è una riga immaginaria. Separa le sponde di un fiume fatto di altre storie di terra.
Ma non tutti hanno accettato di essere morti. Il senso claustrofobico della bara è la prigione dei sentimenti o rammarichi più intimi. Ma la morte come ce la presenta Vito Ferro è una morte che assomiglia a un’appendice. La morte come una vetrina allo specchio.

Ho pena delle stelle che brillano da tanto tempo, da tanto tempo...Non ci sarà dunque, per le cose che sono, non la morte, bensì un’altra specie di fine, o una grande ragione: qualcosa così, come un perdono?”( F. Pessoa)

I personaggi si rivolgono agli altri come se fossero ancora in strada, al bar a discutere di politica. È una condizione che sposta l’equilibrio tra quello che possiamo credere e quello che crediamo davvero. Il cuore è sempre il senso delle cose. La morte accarezza tutti, non si impietosisce di lustri e onori.
Niente resta. Quanto si può resistere?”.
È una morte vista da tutti i punti di vista. È la morte di chi rimane appeso, di chi rimane a passeggiare tra le tombe, è la morte di chi non ha più nulla da perdere. È la morte di chi aspetta la morte. È un libro che fa da ponte. Una sorta di lucernario dove le cose non sono nitide come le ricordavamo ma prendono un’altra forma. Una forma instabile ma importante. Il silenzio è una figura densa. Al contrario della nebbia, ma Vito Ferro ci sa regalare un finale con il sole.
Lascia perdere Armando per quieto vivere”.


Samantha Terrasi

lunedì 29 agosto 2016

Racconto del mese di giugno 2016: A prendere il latte di Giuseppe Novellino


– Giuseppe, devi andare in latteria.
– Uffa, mamma…
Era un tardo pomeriggio di primavera. I tre fratellini stavano guardando la Tivù dei Ragazzi. Mago Zurlì aveva presentato il mimo; e ora i due attori stavano raccontando la loro muta storiella.
– Lo sai che Elisabetta vuole il suo latte, per cena. E fra poco diluvia.
– Sì, sì… il latte. Voglio il lattino.
La Betta aveva quattro anni. Era la più piccola dei tre. Giuseppe ne aveva ormai sette e a lui toccavano i piccoli servizi, come quello. Lorenzo stava nel mezzo, ma la sua non era una condizione favorevole: faceva parte dei due piccoli o dei due grandi, secondo le circostanze.

È sufficiente registrarsi al forum :)

Racconto del mese di luglio 2016: Labor omnia vincit di Spugnamarina

  
Così mi indicavano le guardie, per farmi capire dove fosse la casa di reclusione.
L'imbarcazione solcava il mare della costa toscana, inseguita dai gabbiani. I becchi aspiravano la brezza marina, lanciando striduli versi di sfida. Sembrava cadessero dal parapetto del motoscafo, per riapparire portati in alto dal vento; colpiti dai raggi del sole e tramutati in punti argentei, ricadevano giù come pioggia metallica.
La vedi laggiù...è quella strisciolina all'orizzonte.


Continua a leggere su PescePiratA: http://pescepirata.it/aspiranti_scrittori/viewtopic.php…
 È sufficiente registrarsi al forum e scaricare il racconto!

venerdì 19 agosto 2016

Bollettino di navigazione - 19 agosto - sesto anno in mare


Pirati, tiratemi a bordo!
Va bene la vacanza natura avventura sull'isola deserta, ma 'sto atollo con solo una palma e niente acqua mi ha un po' stufato. Son stufo di bere sangue di pesce, passatemi il rum! Certo vi avevo detto io che il vostro capitano avrebbe potuto resistere anche all'infinito, di andarvene e vi avrei fatto vedere, ma potevate tornare anche prima di un mese.
Comunque, in questo tempo cosa è successo? Tutti in vacanza eh? E la nave? Avete votato per il racconto del mese di luglio? No? Allora forza, su su su!
E i racconti di agosto? E i nuovi arrivati? E l'ultimo manoscritto in valutazione? E i lavori in revisione? Aveto letto, avete guardato?
Beh mentre voi vi date da fare, vado a svenire in cabina. E quando esco voglio che la nave sia ripartita, lucida, pulita, pronta, e soprattutto voglio vedere montagne di patate, quintali, tonnellate! Giallo ovunque...

Alla via così...

lunedì 20 giugno 2016

Una nuova strada: Autori Riuniti



Oggi siamo andati a bussare alla porta di Autori Riuniti, casa editrice fatta solo da Autori. Vi incurosisce la cosa? Andiamo a scoprire di cosa si tratta.

Samantha- Benvenuti, siamo felici di ospitarvi qui su PescePirata.

Autori Riuniti- Grazie a voi.

S- Si è parlato spesso di crisi dell’editoria, del self-publishing. Si pubblica troppo. Ci sono troppi scrittori. Perché creare Autori Riuniti?

A.R.- Perché è esattamente la risposta ai problemi che hanno causato la crisi dell’editoria. Si pubblica troppo, è vero, ma si pubblica sempre secondo vecchi schemi che vedono da una parte gli autori ignari dei meccanismi che regolano l’editoria affidarsi ciecamente alla capacità promozionale delle case editrici, gli editor a rincorrere il personaggio televisivo di turno tradendo il patto con il lettore che non può più fidarsi di nessun marchio editoriale, i distributori e i promotori a ribadire scorte di ovvio nei magazzini delle librerie di catena. Il nostro progetto garantisce un controllo di qualità perché nessun autore fa editing al suo stesso testo ma solo a quello degli altri autori e in questo modo supera il self publishing salvaguardando l’intermediazione culturale. Responsabilizza gli autori perché li coinvolge in ogni singolo processo (quando passi una giornata in fiera a banchetto a vendere un libro e scopri quanto è faticoso promuovere un libro, forse alla prossima presentazione che fai ti ricordi di fare uno squillo a tutti i tuoi contatti e non speri che sia l’ufficio stampa a farlo per te).

S- Chi sono Autori Riuniti?

A.R.- Sono scrittori che vogliono riportare gli scrittori al posto di comando nella filiera editoriale.

S- Quando e come nasce l’idea di far diventare editori gli autori?

In realtà è un ritorno al passato. Quando si parla degli editori storici di questo paese si parla del lavoro quotidiano da editor di Calvino, per esempio. Non abbiamo inventato niente. Stiamo solo scommettendo sulla capacità di uno scrittore di lavorare su un testo come se non meglio di un editor.

S- C’è un motto o un detto o la frase di un libro che vi ha ispirato nel vostro progetto?

A.R.- Ce ne sono tante. Sul nostro sito internet c’era spazio solo per una citazione per volta. Quella che abbiamo scelto in queste settimane è di Michel Houellebecq: Vivere senza leggere è pericoloso, ci si deve accontentare della vita, e questo comporta notevoli rischi.

S- La scrittura ha ancora un ruolo centrale o ci sta trasportando verso nuovi orizzonti? La nascita di blog, pagine dedicate, forum di scrittura creativa cosa rappresentano?

A.R.- La scrittura non è mai stata protagonista come in questi anni. Scriviamo tantissimo: sms, post facebook, tweet. E scriviamo tantissimo di letteratura. Una delle prime cose che abbiamo fatto una volta fondato il collettivo è stata censire (o almeno provarci) tutti i blog e le riviste letterarie. Sono tantissime ed è un bene. Il fatto che a parlare di letteratura non siano solo le grandi firme della critica letteraria storica ma giovani blogger che amano la lettura non può che essere un modo per salvaguardare il rapporto tra scrittore e lettore, per evitare quello scollamento che un’arte sempre subisce quando la si lascia in mano all’accademia.

S- Chi diventa editore o autore in Autori Riuniti? C’è un criterio di selezione?

A.R.- C’è una prima scrematura che facciamo, come tutti, partendo dalle sinossi che chiediamo agli autori e dalla letture delle prime pagine. Purtroppo tantissime proposte non superano questo primo test per via di problemi grammaticali e sintattici piuttosto gravi. Poi, ciò che rimane, viene sottoposto a dei comitati di lettura. I comitati sono sempre composti da un numero dispari di autori perché crediamo che vada evitata il più possibile l’unanimità. Come scriviamo nel nostro manifesto: un libro che piace a tutti è solo ovvietà in formato tascabile. Se un manoscritto viene scelto per essere pubblicato chiediamo all’autore in che modo gli andrebbe di contribuire al progetto. Se è un grafico ci proporrà di dare una mano nell’impaginazione o nella scelta delle copertine, se ha un divano letto ci ospiterà quando andremo a presentare dei libri nella sua città. Ma non è obbligatorio. Nessuno deve pagare un solo centesimo o fare cose che non ha voglia di fare. Se crede nel progetto troverà il modo di farlo crescere insieme a noi.



S- Quale libro diventa un Buon Libro? Un equilibrio tra scrittura, tecnica, empatia e il lettore? O nessuna di queste cose? Quanto spazio si dà alla creatività narrativa?

A.R.- Un libro è un buon libro quando ha una storia da raccontare, quando il suo autore la sa raccontare e quando questa storia può essere letta a più livelli, sia dal lettore occasionale che da quello più accorto. Non c’è altra via e non c’è mai stata. Il lettore (che poi è la stessa persona che guarda le serie tv e non riesce a smettere di farlo per anni e anni talmente sono avvincenti) ha bisogno di essere catturato e portato dentro a vite che non sono la sua, ma che poi a fine lettura sapranno dargli una chiave di interpretazione inedita della sua esistenza.

S- Per un autore farsi conoscere è sempre una sfida che a volte si circonda di incognite. Cosa propone Autori Riuniti? C’è qualche consiglio che vorrebbe dare all’esordiente o all’emergente? C’è veramente spazio per tutti?

A.R.- No, non c’è spazio per tutti. Il consiglio che diamo è quello di allontanarsi il più possibile dalla propria vicenda, da quei tormenti individuali che quando si comincia a scrivere sembrano essere di vitale importanza anche per gli altri. Non lo sono. Bisogna costruire storie che parlino a tutti. Bisogna mortificare l’ego che vorrebbe far mostra di erudizione a vantaggio della scorrevolezza della lettura. Bisogna tornare a narrare e smetterla di mettere in mostra il proprio io claudicante.

S- Vi appoggiate a Messaggerie per la distribuzione. Non è un limite per una casa editrice piccola appoggiarsi un distributore così grande? O è un vantaggio?

A.R.- È inevitabile. Il nostro intento è soprattutto essere letti, ma perché questo accada, i nostri libri devono essere trovati dai lettori. Una realtà appena nata come la nostra non ha la forza di dialogare autonomamente con i punti vendita che superano le mille unità nel paese. Aiuterebbe tanto se le librerie indipendenti si unissero in un grande consorzio e se si potesse dialogare con un loro buyer nazionale unico. 

S.- “La distrazione di Dio” romanzo d’esordio di Alessio Cuffaro. Perché lo avete scelto?Cosa vi ha colpito e cosa colpirà il lettore? Una frase che lo caratterizza. 

A.R.- È un romanzo sorprendente che risponde esattamente all’identikit che abbiamo appena fatto. Una storia avvincente che copre un intero secolo, che fa viaggiare il lettore da Torino a Parigi, da Praga a New York. Più che una frase, ciò che lo caratterizza è il saper rispondere a una domanda: che forma daresti alla tua vita se potessi vivere quella di un altro?




Samantha Terrasi per Pesce Pirata 

martedì 14 giugno 2016

Racconto del mese di maggio: Non voleva rompersi di Samy74

Aveva una cura meticolosa nel sistemare gli oggetti nella lavastoviglie. Prima i bicchieri in vetro, poi quelli in plastica. Le tazze per il thè e quelle per il caffè le metteva in bilico. Quelle bianche spaiate, di porcellana scadente, invece le metteva in basso al posto dei piatti che ammassava nel lavandino e lavava a mano, consumando tutto il detersivo. Usava panetti di burro per cucinare e i piatti erano untosi, scivolosi. Le padelle erano tutte bruciate. Non ingrassava neanche se avesse mangiato tutto il giorno, rimaneva ossuta con le ginocchia di fuori come un mattarello scolpito male. Le curve non avevano accarezzato neanche il viso, occhiali e una montatura nera nascondevano solo due occhi chiari e muti.

 [continua a leggere su PescePirata]

Bollettino di navigazione - 13 giugno - sesto anno in mare


Ciurma!
Sapete cosa è successo in questo ultimi giorni? Beh, abbiamo avuto tre nuovi imbarchi da accogliere, con il solito savoire faire piratesco. Accompagnateli in Taverna a sentire le ultime novità, e non fateli bere troppo sperando si addormentino per fregargli le brache, di certo più nuove delle vostre.
Piuttosto, andate in Spazio autori, dove abbiamo nominato il miglior racconto del mese di maggio, a complimentarvi con il vincitore. E a scrivere un racconto per giugno, a tema o meno, come preferite. Ma tenete un po' di energie per il contest Quindici racconti sulla cassa del morto, per la barba di Nettuno! Dovete solo storpiare qualche classico, ce la potete fare.
Per rilassarvi poi, fate un giro in Sala lettura o in Laboratorio, magari in Area didattica o a dare una mano nei lavori collettivi a mezzo.
E sappiate, razza di rane pescatrici maschio, che se vedo qualcuno girare in mutande, andrò a cercare chi indossa i suoi pantaloni e farò fare a entrambi la lotta degli elefanti marini nudi sul primo iceberg che troviamo. Se non sapete come funziona, non avete che da calare le brache.
Nel frattempo, ahrrr e "Alla via così"!

domenica 5 giugno 2016

Bollettino di navigazione, 2 giugno 2016, sesto anno in mare


Ciurma!
Troppo tempo dall'ultimo bollettino, lo so. Credevate vi avessimo abbandonati, eh? Ma che. Eravamo impegnati a preparare le ultime novità!
Eccole in ordine sparso.
Dagli ultimi venti giorni, un nuovo imbarco, che avete abbondantemente salutato. Ma metti mai, sta qua.
In Spazio autori, aperta la votazione per il miglior racconto di maggio. Ed ecco la prima novità: il tema del mese! Voglia di scrivere un racconto su un tema mensile? No? Beh allora continuate come prima.
E in Area sfide? Non c'è mai un calamaro, in area sfide. E invece c'è il nuovo contest: Quindici racconti sulla cassa del morto. Dopo aver rovinato un capolavoro come Alice nel paese delle meraviglie, non vi volete cimentare con Cervantes o Shakespeare?
In Sala letture, nuove recensioni; mentre in Laboratorio continuano i lavori sulle scritture assistite, in area didattica continuano le torture in sala torture e in editing l'ultimo lavoro in attesa della versione finale; e in Taverna chiacchiere con sottofondo di raschiare di pelapatate.
Mica male eh?
E insomma basta, ora che ci siamo ritrovati, non ci resta che rilasciarci al grido: "Alla via così!"

venerdì 27 maggio 2016

L'amore è per tutti- Mara Boselli-recensione





L’amore è per tutti. E’ davvero così? C’è un mondo reale dove l’amore è uguale per tutti? E’ una domanda che mi sono posta leggendo il libro di Mara Boselli. L’amore come cardine principale che muove le fila della trama. E’ un romanzo corale dove tre storie si intervallano.
Camilla e Milla, due ragazze dallo stesso nome che si trovano in una Milano tratteggiata.

Con la coda dell’occhio, l’aveva vista alzare la testa dal portafogli e sorriderle mentre afferrava il suo beverone impronunciabile. La osservava e non smetteva di sorridere leggera, con la testa un po’ inclinata verso destra”.

mercoledì 18 maggio 2016

Quattro chiacchiere con Mara Boselli



Mara Boselli è l’autrice di L’amore è per tutti, Nativi digitali. Ci ha incuriosito molto questo titolo e così siamo andati direttamente dall’autrice a farle qualche domanda.
Benvenuta su pesce pirata, siamo felicissimi di averti qui con noi.
Grazie a voi per avermi invitato.
Mara è donna, scrittrice e …?
E un sacco di altre cose. Sono una lettrice, sono una figlia e una moglie, sono una musicista, una cuoca e un’amica. Non necessariamente in quest’ordine.
Quali sono le tue ambizioni?
Non mi ritengo particolarmente ambiziosa, ma esigente: lo sono con gli altri e lo sono con me stessa. Cerco sempre di dare il meglio, di migliorare e di migliorarmi in ogni cosa che faccio. Non cerco né la fama, né la gloria; se arriverà un po’ di successo, sarà perché ci ho lavorato su.  
Che tipo di ragazza è stata Mara?
Una ragazza fortunata, amata dalla sua famiglia e circondata da amici. Ho avuto l’opportunità di vivere in un mondo pieno di stimoli; alcuni li ho colti, altri meno, ma tutti mi hanno portato ad essere ciò sono ora. Sono stata, però, anche una ragazza sufficientemente complicata: insoddisfatta, infelice. Ci ho messo anni ad accettarmi e ad accettare la mia disabilità. Parlo del mio cammino in Quelli che stanno peggio, il mio secondo romanzo che è uscito nel 2015 edito da EVE Edizioni.
Quando hai cominciato a scrivere?
Prima di scrivere, ho cominciato a leggere. E prima di leggere, ho cominciato a raccontare. E, prima ancora, ad ascoltare. La forza delle parole: mi affascinavano le storie che mi narravano. Poche fiabe, a dire il vero; solo mio papà si lanciava ad inventare strampalate avventure, degne della sua meravigliosa fantasia da bimbo. Mio nonno, invece, mi spiegava le trame delle opere liriche e mi faceva ascoltare i passi più famosi. Mia nonna ricordava della guerra e degli anni che sono venuti subito dopo.  C’era tanta di quella vita, in ciò che mi raccontavano, che, piano piano, l’ho assimilata e fatta mia. E ho iniziato a raccontarla. E poi, a leggere altre storie, altra vita. E, ad un certo punto, mi sono resa conto che anch’io avevo storie da raccontare, vite da narrare; così, mi sono messa a scrivere. Il mio primo, vero, romanzo, però risale solo a qualche anno fa. La storia c’era, era lì già da un pezzo, pronta solo ad essere messa nero su bianco. E così è nato Una vita a colori, edito nel 2014 da Nativi Digitali Edizioni.
Cosa rappresentano per te le parole?
Uno strumento potentissimo di liberta. Mi sento estremamente fortunata ad aver imparato a padroneggiarle un po’: scrivere è sempre stato un piacere, che poi è diventato un’esigenza che, lentamente si è trasformata anche in un lavoro.
Una poesia che hai nel cuore.
Ce ne sono molte, ma direi Neruda con il suo “Quiero hacer contigo / lo que la primavera hace con los cereo”.
Piangi davanti a un film romantico?
Spesso. Devo ammetterlo, ho la lacrima facile.
La qualità che preferisci in un uomo?
Ne devo scegliere solo una?! Direi l’onestà. Perché, se sei onesto, tutto ciò che fai o dici è autentico, vero; così, oltre a darmi la possibilità di conoscerti e capirti, mi offri l’occasione di essere altrettanto trasparente con te.
Se il tuo seduttore dovesse scegliere un libro per te quale vorresti scartare?
Io e mio marito ci siamo conosciuti online. Uno dei motivi per cui ho iniziato a scrivergli è stata una sua citazione di Daniel Pennac, tratta da Come un romanzo. Ho pensato: se cita Pennac nel profilo, non può essere tanto male. E’stato un po’ come riceverlo in regalo: un bel regalo, direi.
L’amore è per tutti è il tuo secondo romanzo per Nativi Digitali. Come vi siete incontrati?
Qualche anno fa, spronata soprattutto da un’amica, avevo riordinato le idee e buttato giù quello che poi sarebbe diventato il mio primo libro, Una vita a colori. Ho inviato il manoscritto ad una prima casa editrice che mi ha praticamente insultata, quando ha rifiutato l’opera. Non mi sono persa d’animo e ho contattato quella che allora era una piccolissima e nuovissima casa editrice digitale, con solo qualche titolo in catalogo. Annalia e Marco si sono dimostrati competenti, organizzati, intraprendenti e pazzi quanto bastava per interessarsi al mio progetto. Da lì, è stato amore.
Com’è è nato il tuo libro? Da un’idea o da un’esigenza narrativa?
Un po’ una e un po’ l’altra. L’esigenza narrativa era quella di esprimere un’idea, un concetto: credo fermamente nessun uomo dovrebbe essere mai discriminato a causa della propria pelle, del proprio credo religioso o del proprio orientamento sessuale. Quando ho proposto il manoscritto a Nativi Digitali, loro hanno colto immediatamente il messaggio e ci abbiamo lavorato su perché L’amore è per tutti vedesse la luce al più presto.
Quanto c’è di Mara nelle tue pagine?
Molto, anche se L’amore è per tutti è il primo libro che scrivo con personaggi completamente di fantasia. In Una vita a colori, invece, ci sono, nascoste fra le righe, citazioni e somiglianze con la mia vita che mi conosce può cogliere senza troppe difficoltà. Per quanto riguarda Quelli che stanno peggio: è stato definito un romanzo autobiografico, anche se è un termine che non amo particolarmente. Si dice che uno scrittore deve “avere fantasia”: in tutta onestà, non credo di averne molta. Io nasco cronista, ho lavorato per qualche anno sulle pagine di un quotidiano locale, racconto ciò che vedo, che sento e che vivo. Una certa parte di creatività, credo sia inevitabile in questo meraviglioso lavoro che mi sono scelta e, se riesco a mischiare questi due ingredienti senza che il lettore si renda conto dove inizi uno e dove finisca l’altro, allora mi posso ritenere soddisfatta.
Chi sono i protagonisti del tuo romanzo? Per cosa combattono?
In L’amore è per tutti, come nei precedenti, i miei protagonisti sono persone comuni. Vivono vite simili alle nostre e poi succede loro qualcosa, di inaspettato o di programmato non importa, che stravolge la loro quotidianità. D’altronde, la vita è così, no?
La vita ci travolge e ci sorprende in molti modi.
Si dice che la vita sia quella cosa che ci capita quando siamo intenti ad occuparci di altro. Mi piace pensare che i miei protagonisti combattano per le loro vite, per i loro ideali. 

Come definisci l’amore?
Potrei dire che l’amore è quella cosa che ti mozza il respiro, quel sentimento che ti fa pensare solo e soltanto a quella persona, che ti toglie l’appetito e che non ti fa dormire. Lo pensavo, una volta, ma ora ho capito che l’amore è scegliere e scegliersi reciprocamente. Ogni giorno, tutti i giorni. Sapere l’uno dell’altro quando russa, o quanto può essere pignolo; sapere quanto si lagna, quando è malato, oppure quanto ci tiene ad andare a pranzo da mamma la domenica. Conoscerne ogni difetto, eppure essere convinti che ne valga ancora la pena.
Lo scorso 11 Maggio è stata approvata la leggi per le unioni civili, è una grande conquista per l’Italia, cosa ne pensi?
Il decreto Cirinnà è un testo importante per l’Italia: è il primo passo verso la parità vera fra coppie omosessuali e coppie eterosessuali (ed anche quelle fra eterosessuali sposate e conviventi). La legge, perché potesse contare su sufficienti voti a favore, è stata stralciata e rimodellata in più punti (il più eclatante riguarda la stepchild adoption) e questo l’ha resa un po’ zoppicante e, a mio modesto parere, non ha colmato del tutto le differenze fra i diversi tipi di unione. Uno stato laico, come si professa il nostro Paese dovrebbe garantire ad ogni essere umano consapevole di sposarsi con chi ama, senza badare al sesso. In ogni caso, i diritti che, grazie alla legge sulle unioni civili, in molti hanno guadagnato sono una vittoria per tutti.
La tua paura?
I piccioni mi terrorizzano! Non li capisco, non riesco a prevederli, né a controllarli in alcun modo: i loro voli sono improvvisi e senza logica, secondo me. Credo siano la perfetta esemplificazione di tutto ciò che temo davvero: ciò che non riesco a conoscere, a comprendere.
Cosa è il diverso per te?
Diverso è un sacco di cose. Per molto tempo ho pensato che diverso fosse sinonimo di sbagliato. Tutto ciò che non rientrava in uno schema preciso era diverso e, quindi, era sbagliato. Io sono disabile, mi sentivo diversa e mi sentivo sbagliata. Mi ci sono voluti anni per capire che quella mia diversità poteva essere un punto di forza e non uno sbaglio. Diverso è chi guarda il mondo in modo diverso da te, per tante di quelle ragioni che non sto neanche qui a elencarle; ma se tu, invece di pensare ad un suo sbaglio, provi a conoscere e a capire il perché del suo punto di vista, può anche darsi che ti accorgi che il diverso è bello e ricco quanto lo sei tu.
Il tuo principale difetto?
Sono cocciuta, impulsiva e fumantina. Sono nata in agosto e sono, a tutti gli effetti, un leone: ruggisco, ma poi, di solito, non mordo. 
Occupazione preferita?
Un buon libro. Un buon film. Un buon amico.
Preferisci il giorno o la notte?
La notte, decisamente. Ho sempre avuto il sonno leggero e l’insonnia è mia compagna da anni; non dico “soffro”, perché non le renderei giustizia: ho studiato, di notte (prima durante il liceo e poi durante l’università); ho recuperato intere serie televisive e intere saghe letterarie, di notte; a prestato orecchie e spalle ad amici in difficoltà e ho riversato su di loro fiumi di parole, sempre di notte.
Una città, un modo di essere e una canzone
Una città: sicuramente Milano, che è la mia città, e anche se ora sono un po’ lontana, me la porto sempre dentro. Un modo di essere: il mio, che forse non è il massimo, ma che fa di me ciò che sono. Una canzone: Ho ancora la forza, brano di qualche anno fa della premiata ditta Guccini –Ligabue, che a un certo punto dice: E ho ancora la forza di scegliere parole / per gioco, per il gusto di potermi sfogare / perché, che piaccia o no, è capitato / che sia quello che so fare...”
Il tuo motto preferito
Credo di non averne uno. Ma provvederò a procurarmelo.
Il tuo sogno, perché di sognare non smettiamo mai.
Un amore, una famiglia, qualche amico, un po’ di salute e un lavoro che non mi faccia diventare ricca, ma che mi permetta di mangiare. Eccoli qui i miei sogni piccoli, forse banali, ma che mi rendono felice.
Grazie e in bocca al lupo Mara.



giovedì 12 maggio 2016

Racconto del mese di aprile 2016: Nosferatu di Giuseppe Novellino




Nel Campo della Rimembranza si poteva giocare, ma con qualche precauzione. Bisognava guardarsi dal vigile urbano che quasi sempre aveva qualcosa da ridire sul comportamento dei ragazzini. Quell’area verde, infatti, non era destinata al libero divertimento.  
     Tuttavia i giovanissimi non riuscivano a trattenersi. Per loro le siepi, il manto ghiaioso, i muretti, i quattro pini e i due cedri rappresentavano un invito a rincorrersi, ad arrampicarsi e a saltare. Soprattutto la chiesetta commemorativa, che occupava quasi tutto il lato orientale dell’area, esercitava su di loro una forte attrazione. Due cancelli laterali con lo scudo e tre lance incrociate (uno dei quali quasi sempre aperto) immettevano in una specie di cortiletto retrostante, pieno di sterpi e cespugli incolti. Quel luogo recondito era una vera tentazione, se non altro perché dagli addetti comunali veniva considerato zona off limits. Ma la cosa che più incuriosiva era l’accesso a un seminterrato il cui perimetro coincideva con quello della costruzione.
     Elisabetta e Lorenzo erano seduti sui gradini davanti al portale di bronzo che immetteva nella cappella. Con loro c’era anche un ragazzetto un po’ più grande, di nome Fabio.
     - Sapete chi è Nosferatu? – domandò quest’ultimo.